LA COSTITUZIONE, CHE BELLA FAVOLA L'ITALIA MESSA A NUDO DA 158 PRECARI
di FABIO FERZETTI
(Il Messaggero, 7 ottobre 2008)
ROMA - A che età smettiamo in genere di leggere le favole? Otto, dieci anni? Tredici? Dipende. Qualcuno continua a leggerle sotto forma di fumetti. I più smaliziati snidano retorica e trucchi fiabeschi anche nel modo in cui i media, tv in testa, confezionano certe notizie. Ma la settimana prossima a Terni, nel quadro del festival Cinema &/è Lavoro, si vedrà una raccolta di fiabe speciali per un pubblico abbastanza particolare. Anziché bambini, i destinatari sono "bamboccioni" (loro andrebbero giustamente su tutte le furie a sentirsi definire così). Mentre le "favole" non sono firmate da Andersen o dai fratelli Grimm, ma dai riveriti padri della Costituzione italiana. Che oggi, a confronto con la vita quotidiana condotta da milioni di giovani e meno giovani precari, fa davvero l'effetto di un libro di amene, sognanti, impossibili fiabe.
Potrebbe sembrare una trovata sarcastica o poco più. Invece Caro Parlamento (e altre Favole Meravigliose), l'ipnotico documentario girato da Giacomo Faenza mettendo 158 precari fra i 20 e i 40 anni delle più diverse estrazioni sociali e professionali a confronto con gli articoli dela Costituzione dedicati al lavoro, suscita un groviglio di sentimenti inattesi. Dei 158 testimoni non sapremo nulla se non quanto rivelano voci, sguardi, volti, tormenti, ironie, che bucano lo schermo come le scene di vita scolastica dello straordinario film di Laurent Cantet in uscita fra pochi giorni, La classe.
Solo che qui non c'è messa in scena, non c'è racconto, non c'è spettacolo. Solo 158 facce in primo piano, 158 monologhi che per quasi un'ora smantellano gli auspici e i dettami più sacrosanti della nostra Costituzione parlando contro uno sfondo sempre anonimo e colorato. Un "non luogo", come il limbo professionale e generazionale in cui galleggiano i protagonisti.
A colpire non sono tanto gli argomenti, che ormai purtroppo conosciamo bene (carovita, frustrazione economica e identitaria, ricatti continui, zero contributi, nessun aiuto per le donne, tantomeno le madri); né il disprezzo a 360 gradi per la classe politica espresso da quasi tutti gli intervistati ("una massa di vecchi intenti a proteggere se stessi... un mondo a parte... incapaci di capire i nostri problemi..."). Nossignori, a mettere ko è il contrasto fra le voci educate, i concetti articolati, i discorsi tutt'altro che peregrini o semplicemente emotivi, e le condizioni di vita in cui si trovano questi giovani istruiti, pacati, consapevoli, ragionevoli. E furibondi.
Speriamo che qualcuno in Parlamento trovi davvero il tempo di vedere il film di Giacomo Faenza, in anteprima al festival di Terni, diretto anche quest'anno da Steve Della Casa. Che zigzagando tra docu e fiction, Europa e Cina, immigrati e incidenti sul lavoro, senza dimenticare i "mestieri" del cinema, ha costruito un cartellone ricchissimo in cui i due film sulla tragedia della Thyssen di Torino (La fabbrica dei tedeschi di Mimmo Calopresti e ThyssenKrupp Blues di Pietro Balla e Monica Repetto) si alternano a documentari agghiaccianti sulla circolazione delle merci (Import/Export) e a temi più lievi ma non meno seri come il mestiere di regista secondo Kitano o i retroscena della serie tv Boris. In una città operaia come Terni, uno dei festival più "necessari" del nutrito panorama nazionale.